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Ottica dello Straniero

Autori

Andrea Cester, Sara Giorgia D'Alessi, Fiorella De Caro, Andrea Falcini, Paola Feder, Federico Ferragina, Matteo Gualberto, Jiayu Qi

Politecnico di Milano • Anno Accademico 2020/2021

La percezione è realtà. Questo il principio alla base dell’esperienza quotidiana di ogni essere umano; questo stesso, la causa delle difficoltà comunicative tra esseri umani. La percezione è realtà ma ogni mente percepisce una realtà soggettiva. La percezione è ingannevole e condizionabile. Fattori culturali e sociali, ma anche psicologici, emotivi, la deformano, e una volta alterata, essa diventa dis-percezione. La dispercezione dello straniero è una condizione universale: in un dato contesto, chiunque sente, vive e agisce come straniero dispercepente.

Abbiamo però rivolto la nostra attenzione verso una storia in particolare, una testimonianza dall’enorme valore emotivo, che attraversa guerra, paura e fuga, perdite, separazione, incertezza, ma anche nuovi arrivi e nuovi inizi. L’obiettivo non è tuttavia solo esprimerne le sensazioni, per scoprire quanto il trascorso personale e l’emotività incidano sul percepire quotidiano, quanto piuttosto il tentativo di costruire, attraverso il racconto (tenendone a mente il carattere personalissimo e al tempo stesso universale), un’empatica comprensione.

“Cambio vita, cambio luogo, cambio percezioni. Tutto mi sembrava lontano, ma ora ogni cosa ha il suo legittimo spazio”

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Processo progettuale

Il soggetto della nostra storia è Radwa, una ragazza libica costretta a scappare dalla sua città natale, Tripoli, a causa della guerra civile scoppiata nel 2011. Abbandona la sua casa nella disperazione, non sapendo se potrà mai tornare.

Fugge in Italia, dove si trova ancora oggi come rifugiata politica, e dove lavora con l’associazione Volontarius a Bolzano. Radwa non è ancora mai tornata in Libia, e non sa se la sua casa esiste ancora.

Intervista a Radwa

Lo strappo

Lo strappo esprime una lacerazione interna ed emotiva, uno stato d’animo danneggiato a causa di circostanze che gravano su chi le vive. Strappare vuol dire “togliere, portare via qualcosa con violenza e rapidità” o anche “allontanare una persona con la forza da qualcuno o da qualcosa”. La nostra azione progettuale diviene quindi allegoria dell’essere sottratti, sradicati.

Uno strappo può però essere sempre ricomposto, pur rimanendo visibile. Esso assume quindi un’ambivalenza di significato tra la perdita e la riconquista; nel libro si utilizzano gli strappi, incollati tra loro, per ricostruire le onde del mare o le dune del deserto, paesaggi lontani, ma vivi nella memoria della protagonista.

Il cucito

Ricomporre significa “Comporre di nuovo in un insieme unitario, rimettere insieme”: proprio per questo lo strappo viene riassemblato a rappresentare una riconquista di cose che si credevano perdute. 

A fine libro lo strappo viene ricucito, come una persona che riconquista se stessa e ricollega tutti i pezzi che le sono stati sottratti, fino ad accettare la perdita e la utilizza come possibilità di nuova vita e occasioni.

I paesaggi emotivi

I materiali scelti

Vari tipi di carte e cartoncini dalle diverse grammature: carte texturizzate, stampate, cartoni strappati, colorati. Particolare attenzione si presta alla palette cromatica, che riprende le tonalità paesaggistiche teatro della narrazione.

Wunderbook e cofanetto

Il pensiero degli autori